A volte imparare non vuol dire fare di più, ma agitarsi di meno. Quando smetti di controllare ogni parola e inizi a fidarti del processo, l’inglese smette di spaventare e comincia a far parte di te.
Data
15 marzo 2025
Autore
Sebastian
Tempo di lettura
5 Min



Ciò che non si vede
Ci sono conquiste che non si vedono nei test, né si celebrano con un applauso, ma si sentono. Parlo di trasformazioni sottili, invisibili, che non danno spettacolo ma scavano in profondità. Eppure, trasformano la postura, la voce, lo sguardo.
Una di queste è l’equanimità: quel silenzioso equilibrio tra fiducia e flessibilità, tra presenza e distacco. È una forma di forza che non impone, ma sostiene. Non è indifferenza, né rassegnazione: è la lucidità di chi non si aggrappa e non si ritrae.
Nel suo significato più pieno, è la capacità di mantenere una mente stabile e presente di fronte alle difficoltà, senza essere sopraffatti dalle emozioni.
“Equanimity is a spacious stillness of mind that allows us to simply observe our experiences with clarity and balance.”
— Jon Kabat-Zinn
Da sforzo a presenza
Nel mio lavoro è spesso questo il cambiamento che più mi colpisce: quando i partecipanti ai corsi smettono di misurarsi e iniziano a essere davvero presenti. La differenza è tangibile, non nei risultati immediati, ma nei gesti, nei ritmi, nelle scelte. Chi impara così, impara per durare. Quando è accolta con equanimità, una lingua cambia volto.
L’inglese smette di essere una minaccia: diventa un ambiente. Uno spazio vivo in cui sbagliare non significa fallire, ma partecipare. Si diventa capaci di parlare senza controllare ogni sillaba, di ascoltare senza voler capire ogni parola, di imparare senza cercare conferme costanti.
Non si rinuncia all’attenzione, si abbandona l’ansia.
Fidarsi del silenzio
Accade quasi per caso. Una studentessa, durante una lezione settimanale, interruppe il flusso delle sue scuse in inglese. Diceva sempre “Sorry for…” dopo ogni risposta. Quel giorno, invece, parlava. Non perfettamente, ma chiaramente. Non senza errori, ma senza esitazione. Era come se si fosse “smosso” qualcosa internamente: il suo bisogno di giustificarsi.
In quel momento, non stava solo imparando a parlare. Stava imparando a restare. In se stessa e nella lingua. Quella calma attiva è ciò che rende possibile la vera trasformazione. Quando la lingua non è più una prova da superare, ma un luogo in cui muoversi.
“Se senti una voce dentro di te che dice ‘non puoi dipingere’, allora dipingi a tutti i costi, e quella voce si zittirà.”
— Vincent Van Gogh
Riflettersi nella lingua
La fiducia che nasce da questo spazio non ha bisogno di conferme: si manifesta nei gesti, nei tempi, nella voce che smette di chiedere il permesso. È un tipo di progresso che non si misura facilmente, ma si sente chiaramente, per chi ascolta con attenzione.
L’equanimità nasce da una verità spesso dimenticata: l’errore non è un nemico, ma un alleato. È solo accettando la goffaggine iniziale, il suono estraneo della propria voce, che si comincia davvero a cambiare.
Connessione prima del controllo
In questa calma attiva, la lingua smette di essere un codice e diventa specchio. Riflette non ciò che sappiamo, ma ciò che siamo disposti a diventare. E ciò che si diventa, a contatto con una seconda lingua, non è solo più competente, è più complesso, più aperto, più intero. È come passare da una stanza chiusa ad una casa con più finestre: si respira diversamente.
Non si tratta di parlare perfettamente, ma di abitare l’incertezza con grazia. Di restare presenti anche quando la frase inciampa, di non cedere alla voce che giudica. È in questa compostezza che il vero apprendimento mette radici. Un apprendimento che non mira al controllo, ma alla connessione.
Lingua in azione
Come insegnante, ho imparato a riconoscere questi segnali sottili: un’esitazione che scompare, una pausa che diventa respiro. Non cerco solo risultati misurabili. Cerco spazi vivibili. Perché la fiducia non si misura con un voto: si coltiva, e cresce.
Arriva il momento. Il test vero, quello non annunciato. Un incontro inatteso, un viaggiatore da aiutare, un confronto sul lavoro. E succede: per qualche strana ragione, non pensi a come costruire la frase, ma a cosa dire. Il pensiero non si ferma sul verbo, ma sull’intenzione. E comunichi. Ti fai capire. Ti connetti. È il frutto di tutta quella ripetizione, di tutti quegli errori, di tutte le volte che hai esitato. E adesso non più…
Adesso parli.
Il senso del mio approccio
Questo è anche il cuore del mio metodo. Insegno inglese, sì, ma soprattutto accompagno le persone in uno spazio dove lasciamo l’esitazione alla porta. Nessuna corsa contro il tempo. Ogni lezione è un invito: a ritrovare il proprio ritmo, accogliere la difficoltà con lucidità, scoprire che non serve “essere bravi” per iniziare a comunicare. Basta essere presenti.
L’inglese, allora, non è solo un mezzo per comunicare. È un modo di abitare la realtà. Una disciplina interiore. Una pratica di equilibrio. Un’educazione alla leggerezza che non sfugge, ma affronta. E chi riesce a coltivare questa qualità si accorge che ciò che cambia non è solo la lingua…
È lo sguardo.
BUON INGLESE
Pagine
oggi
© Made by Sebastian
A volte imparare non vuol dire fare di più, ma agitarsi di meno. Quando smetti di controllare ogni parola e inizi a fidarti del processo, l’inglese smette di spaventare e comincia a far parte di te.
Data
15 marzo 2025
Autore
Sebastian
Tempo di lettura
5 Min



Ciò che non si vede
Ci sono conquiste che non si vedono nei test, né si celebrano con un applauso, ma si sentono. Parlo di trasformazioni sottili, invisibili, che non danno spettacolo ma scavano in profondità. Eppure, trasformano la postura, la voce, lo sguardo.
Una di queste è l’equanimità: quel silenzioso equilibrio tra fiducia e flessibilità, tra presenza e distacco. È una forma di forza che non impone, ma sostiene. Non è indifferenza, né rassegnazione: è la lucidità di chi non si aggrappa e non si ritrae.
Nel suo significato più pieno, è la capacità di mantenere una mente stabile e presente di fronte alle difficoltà, senza essere sopraffatti dalle emozioni.
“Equanimity is a spacious stillness of mind that allows us to simply observe our experiences with clarity and balance.”
— Jon Kabat-Zinn
Da sforzo a presenza
Nel mio lavoro è spesso questo il cambiamento che più mi colpisce: quando i partecipanti ai corsi smettono di misurarsi e iniziano a essere davvero presenti. La differenza è tangibile, non nei risultati immediati, ma nei gesti, nei ritmi, nelle scelte. Chi impara così, impara per durare. Quando è accolta con equanimità, una lingua cambia volto.
L’inglese smette di essere una minaccia: diventa un ambiente. Uno spazio vivo in cui sbagliare non significa fallire, ma partecipare. Si diventa capaci di parlare senza controllare ogni sillaba, di ascoltare senza voler capire ogni parola, di imparare senza cercare conferme costanti.
Non si rinuncia all’attenzione, si abbandona l’ansia.
Fidarsi del silenzio
Accade quasi per caso. Una studentessa, durante una lezione settimanale, interruppe il flusso delle sue scuse in inglese. Diceva sempre “Sorry for…” dopo ogni risposta. Quel giorno, invece, parlava. Non perfettamente, ma chiaramente. Non senza errori, ma senza esitazione. Era come se si fosse “smosso” qualcosa internamente: il suo bisogno di giustificarsi.
In quel momento, non stava solo imparando a parlare. Stava imparando a restare. In se stessa e nella lingua. Quella calma attiva è ciò che rende possibile la vera trasformazione. Quando la lingua non è più una prova da superare, ma un luogo in cui muoversi.
“Se senti una voce dentro di te che dice ‘non puoi dipingere’, allora dipingi a tutti i costi, e quella voce si zittirà.”
— Vincent Van Gogh
Riflettersi nella lingua
La fiducia che nasce da questo spazio non ha bisogno di conferme: si manifesta nei gesti, nei tempi, nella voce che smette di chiedere il permesso. È un tipo di progresso che non si misura facilmente, ma si sente chiaramente, per chi ascolta con attenzione.
L’equanimità nasce da una verità spesso dimenticata: l’errore non è un nemico, ma un alleato. È solo accettando la goffaggine iniziale, il suono estraneo della propria voce, che si comincia davvero a cambiare.
Connessione prima del controllo
In questa calma attiva, la lingua smette di essere un codice e diventa specchio. Riflette non ciò che sappiamo, ma ciò che siamo disposti a diventare. E ciò che si diventa, a contatto con una seconda lingua, non è solo più competente, è più complesso, più aperto, più intero. È come passare da una stanza chiusa ad una casa con più finestre: si respira diversamente.
Non si tratta di parlare perfettamente, ma di abitare l’incertezza con grazia. Di restare presenti anche quando la frase inciampa, di non cedere alla voce che giudica. È in questa compostezza che il vero apprendimento mette radici. Un apprendimento che non mira al controllo, ma alla connessione.
Lingua in azione
Come insegnante, ho imparato a riconoscere questi segnali sottili: un’esitazione che scompare, una pausa che diventa respiro. Non cerco solo risultati misurabili. Cerco spazi vivibili. Perché la fiducia non si misura con un voto: si coltiva, e cresce.
Arriva il momento. Il test vero, quello non annunciato. Un incontro inatteso, un viaggiatore da aiutare, un confronto sul lavoro. E succede: per qualche strana ragione, non pensi a come costruire la frase, ma a cosa dire. Il pensiero non si ferma sul verbo, ma sull’intenzione. E comunichi. Ti fai capire. Ti connetti. È il frutto di tutta quella ripetizione, di tutti quegli errori, di tutte le volte che hai esitato. E adesso non più…
Adesso parli.
Il senso del mio approccio
Questo è anche il cuore del mio metodo. Insegno inglese, sì, ma soprattutto accompagno le persone in uno spazio dove lasciamo l’esitazione alla porta. Nessuna corsa contro il tempo. Ogni lezione è un invito: a ritrovare il proprio ritmo, accogliere la difficoltà con lucidità, scoprire che non serve “essere bravi” per iniziare a comunicare. Basta essere presenti.
L’inglese, allora, non è solo un mezzo per comunicare. È un modo di abitare la realtà. Una disciplina interiore. Una pratica di equilibrio. Un’educazione alla leggerezza che non sfugge, ma affronta. E chi riesce a coltivare questa qualità si accorge che ciò che cambia non è solo la lingua…
È lo sguardo.
BUON INGLESE
oggi
© Made by Sebastian